Dettaglio luogo
Museo Mura
Antonio Mura (Aritzo, 1902 – Firenze, 1972) è stato uno dei più importanti pittori e incisori sardi del Novecento. Dopo aver completato gli studi classici a Cagliari, si forma artisticamente a Roma, frequentando la Reale Accademia delle Belle Arti e l’Accademia Inglese, dove entra in contatto con maestri come De Carolis e Cambellotti. Si perfeziona viaggiando tra Firenze, Venezia e Milano, visitando i principali musei italiani.
Espone per la prima volta nel 1933 a Cagliari e partecipa a importanti rassegne nazionali, tra cui la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma. La sua produzione artistica spazia tra ritratti, paesaggi e nature morte, ma è nella pittura sacra che trova la sua espressione più significativa, realizzando numerose pale d’altare in Sardegna e a Roma.
Dopo la guerra si stabilisce a Cagliari, dove insegna con passione ed è ricordato per la sua gentilezza e umanità. Ancora oggi Mura è celebrato ad Aritzo, dove è conosciuto affettuosamente come “su pintore” o “su professore”.
Il museo è ospitato nell’ex casa municipale, dove al primo piano un tempo si trovava la scuola.
Via Funtana Tolu, 4, 08031 Aritzo NU, Italia
Cartina geografica
Guida alla visita

In questa sala sono esposte due tipologie di opere di Antonio Mura: le xilografie e i cartoni preparatori.
Le xilografie mostrano l’abilità dell’artista come incisore. Questa tecnica consiste nell’incidere in rilievo una tavoletta di legno, asportando le parti che non fanno parte del disegno. La matrice così ottenuta viene inchiostrata e stampata su fogli sottili di carta o su seta, permettendo di realizzare più copie dello stesso soggetto.
Mura fa parte del gruppo degli incisori sardi, insieme a nomi come Mario Delitala, Battista Ardau Cannas, Remo Branca e Stanis Dessì. La xilografia è una tecnica antica, faticosa e “povera”, ma anche nobile per la sua immediatezza e per la rapidità con cui l’opera prende forma.
Molti soggetti di Mura, sia nella pittura che nell’incisione, sono tratti dai momenti più intensi del Nuovo Testamento, come la Via Crucis, la Pietà o le Marie Dolenti.
I cartoni preparatori, invece, sono i disegni preliminari realizzati con il carboncino su materiali rigidi. Venivano utilizzati per trasferire le figure sulla tela con una tecnica chiamata “spolvero”: il contorno del disegno veniva forato con una punta di spillo, poi una polvere colorante veniva fatta passare attraverso i fori, lasciando così l’impronta da seguire.
In questi cartoni sono rappresentate alcune scene della vita di Sant’Antonio da Padova.

Ad accoglierci, qui, è la figura di una giovane donna che porta una cesta di arance, quasi a volerci introdurre nel mondo pittorico di Antonio Mura. Un mondo che riflette un’identità profondamente radicata in Aritzo, ma aperta a un’esperienza estetica nuova e originale, nutrita da una solida cultura visiva.
L’opera del 1927, intitolata Figura Decorativa, mostra una donna che campeggia maestosa tra le bianche case illuminate dal sole di una via del paese. La sua linea di contorno è netta e definita, mentre la luce accarezza le maniche bianche della camicia e si insinua tra le pieghe della gonna color carminio.
Su uno sfondo scuro e indefinito, invece, si stagliano le figure dei suonatori nel dipinto Concerto, databile ai primi anni ’30. In primo piano, una natura morta rivela la sacralità nascosta nell’umiltà della vita quotidiana: il pane e il vino, simboli eucaristici, parlano di spiritualità e tradizione.
Le altre opere esposte – tra composizioni di figure, paesaggi e nature morte – mostrano il percorso artistico di Mura, che spazia da riferimenti barocchi del Seicento fino a tocchi di modernità. Nel corso del tempo, la sua pittura si fa sempre più sintetica, e il colore assume una libertà espressiva che esprime emozioni profonde, radicate in una solida base culturale.
Negli anni ’50, lo studioso Nicola Valle definì questa sua arte come “pittura compendiaria”, cogliendo l’evoluzione stilistica di Mura. Valle, che nel 1933 aveva censito la prima personale del pittore, sottolineò inoltre l’importanza dei ritratti nella sua produzione, in particolare quelli dei bambini, visti come le creature più vicine a Dio.

Antonio Mura dedica grande attenzione e delicatezza alla rappresentazione dell’universo femminile, a cui è riservata questa sala. Le opere si susseguono come un affascinante fregio di vita, che abbraccia tutte le età: dall’infanzia alla vecchiaia, attraversando la giovinezza, piena di speranze.
Una speranza silenziosa e discreta attraversa il dipinto La Sposa, realizzato nel 1924. Quest’opera venne selezionata dalla giuria e esposta l’anno successivo alla III Biennale di Roma, accanto ai lavori dei grandi maestri dell’Accademia di Belle Arti.
Al centro della tela vediamo una giovane donna inginocchiata, vestita con l’abito tradizionale, all’interno della parrocchiale di San Michele Arcangelo ad Aritzo. Alle sue spalle, una donna anziana contribuisce a dare profondità allo spazio e solidità all’architettura. Gli occhi neri e lucidi della ragazza risaltano grazie al bianco che avvolge il suo volto, mentre i rossi, i gialli e i blu accendono tutta la composizione. Tra le mani stringe un rosario prezioso, dipinto con cura e minuzia di dettagli, ma l’atmosfera che si respira è quella di una purezza semplice e familiare.
Nelle altre opere di questa sala, che testimoniano le diverse fasi stilistiche della produzione di Mura, l’artista coglie gesti appena accennati e sentimenti lievi, appena svelati. I ritratti, come sempre in Mura, non cercano l’esteriorità ma l’essenza, rivelando la sacralità della vita stessa. Anche le ambientazioni, spesso umili interni domestici, rimandano a qualcosa di profondamente religioso e spirituale.

Se tutta l’arte di Antonio Mura riflette un profondo anelito a celebrare l’armonia del creato, è nelle opere di soggetto religioso che questa devozione trova la sua espressione più intensa. Nel corso dei decenni, l’artista realizza numerose pale d’altare, in Sardegna e a Roma, e nel 1937 dipinge anche il ritratto del cardinale Eugenio Pacelli, futuro Papa Pio XII.
Al centro di questa sala domina la grande tela dell’Adorazione del Venerdì Santo, dipinta nel 1928 ed esposta l’anno successivo alla Primaverile Fiorentina. La composizione è costruita con rigore, giocata sull’equilibrio tra linee verticali e orizzontali. L’architettura, solenne e austera, delimita lo spazio terreno e accoglie il mistero del tempo divino, che non può essere misurato. Le figure umane appaiono raccolte, immerse nel silenzio di un momento sacro: il rito che rinnova il sacrificio della croce.
Il Crocifisso, fulcro della scena, diventa il punto di convergenza del pathos che attraversa tutta la composizione. Accanto all’opera, sono esposti anche i cartoni preparatori, che permettono di apprezzare il processo creativo dell’artista.
A partire dal 1927, Mura inizia a firmare alcune delle sue opere con le lettere BTG, acronimo di Beata Teresa di Gesù, in omaggio a Santa Teresa del Bambin Gesù, alla quale era profondamente devoto. Questo dettaglio non solo esprime la dimensione intima e spirituale della sua pittura, ma aiuta anche a datare con maggiore precisione molte delle sue opere.