Dettaglio luogo
Museo Etnografico
Il Museo Etnografico è ospitato all’interno del Parco di Pastissu. La visita si sviluppa attraverso un percorso espositivo di 8 sale tematiche, in cui sono esposti i reperti relativi alla cultura materiale del centro Sardegna.
Il Museo racconta la vita e l’economia tradizionale legata al sistema agrosilvopastorale, con un’attenzione particolare alla raccolta, trasformazione, distribuzione e consumo delle risorse alimentari. Espone anche strumenti e testimonianze legati alle lavorazioni artigianali, al commercio itinerante dei frutti del bosco, alla devozione religiosa, alla musica popolare, agli abiti tradizionali e alla produzione delle candele.
Il percorso espositivo racconta anche l’antica raccolta della neve, che rese Aritzo per secoli il cuore del commercio del ghiaccio in Sardegna, e la preparazione della celebre Carapigna, il tradizionale sorbetto aritzese. La visita si conclude con una suggestiva sezione dedicata ai travestimenti e alle maschere del carnevale barbaricino. Tra gli oggetti più rari spiccano le tradizionali casse di Aritzo, intagliate a mano e utilizzate per conservare pane e biancheria, sorbettiere in stagno del XVII secolo e un antico torchio in legno per le vinacce.
Il museo fa parte dell’Ecomuseo della Montagna Sarda, che comprende anche Casa Devilla, il Carcere Spagnolo, il Museo Mura e i sentieri delle antiche Neviere.
Viale Kennedy, 25, 08031 Aritzo NU, Italia
Cartina geografica
Guida alla visita

Questa sala ci introduce nel mondo del pastoralismo, cuore antico della vita ad Aritzo. È un viaggio nella cultura e nel lavoro dei pastori, raccontato attraverso oggetti, suoni e tradizioni tramandate nel tempo.
Qui si scopre l’intero ciclo legato alla pastorizia: dalla cura degli animali alla produzione e conservazione del cibo. In particolare, è raccontato in dettaglio tutto il processo del latte, dalla mungitura fino alla produzione dei formaggi. Accanto agli oggetti quotidiani – aste in legno per misurare il latte, ciotole e cucchiai ricavati da corno di montone o intagliati nel legno – si trovano anche gli strumenti usati per tosare e marcare gli animali.
Un’intera sezione è dedicata agli oggetti del viaggio: selle, bisacce e soprattutto il mantello tradizionale in orbace, resistente e adatto al freddo della montagna. Non mancano i campanacci, in tante forme e dimensioni: ciascuno con un suono distinto, riconoscibile da ogni pastore anche a grande distanza.
Un tema centrale della sala è la transumanza, chiamata in sardo su viaggiu: lo spostamento stagionale delle greggi dalle montagne verso le pianure, che iniziava a novembre e si concludeva a maggio, quando si rientrava in altura. Un viaggio lungo e impegnativo, parte integrante della vita pastorale.
Tra gli oggetti più affascinanti c’è Su Giuramentu, un insieme di medaglioni in bronzo con immagini sacre e un crocifisso, usato per risolvere le controversie tra pastori, come i furti o le invasioni di pascoli. Chi giurava, doveva pronunciare una formula rituale: mentire era considerato gravissimo, e si credeva che potesse portare persino alla cecità. Questo rito è un esempio potente di antiche credenze ancora vive nella memoria collettiva.
La sala si chiude con uno sguardo al carnevale tradizionale di Aritzo, rappresentato dalle maschere ferine: Su Mumutzone, S’Ultzu e Su ‘Oe. Queste maschere entrano in scena per la prima volta il 17 gennaio, in occasione della festa di Sant’Antonio Abate. Attorno ai grandi falò accesi per la notte, si muovono con passo cadenzato, evocando riti arcaici e il legame profondo tra uomo, animale e natura.

Questa sala ci accompagna alla scoperta di un aspetto fondamentale dell’identità aritzese: il commercio itinerante.
Un’economia fatta di movimenti, relazioni e scambi, condotta a piedi, a cavallo o a bordo di carretti carichi di beni preziosi provenienti dal bosco.
Tra gli oggetti esposti si riconoscono gli strumenti delle raccoglitrici di castagne e nocciole, e quelli dei mercanti girovaghi che trasportavano e vendevano castagne, torroni, travi di legno, carbone, bottame e casse finemente intagliate.
Per la comunità pastorale di Aritzo, questo tipo di commercio rappresentava molto più di una semplice attività economica: era una strategia di sopravvivenza, un modo per procurarsi le granaglie e altri beni essenziali, ma anche un’occasione di apertura verso il mondo, un canale di mobilità sociale e di conoscenza reciproca.
Molte delle transazioni avvenivano senza l’uso del denaro. Era lo scambio diretto a regolare i rapporti. Solo pochi prodotti, legati ai momenti di festa – come la carapigna o i torroni – venivano acquistati con moneta.
I frutti del bosco – castagne, noci, nocciole – erano invece considerati alimenti quotidiani, legati alla vita di tutti i giorni, e rientravano negli scambi più semplici ma fondamentali.
Questa sezione racconta uno degli elementi più significativi del commercio itinerante: l’incetta della neve per la produzione di ghiaccio, un’attività che, a partire dal XVII secolo e fino alla fine dell’Ottocento, fu oggetto di monopolio esclusivo per la comunità di Aritzo.
La privativa della neve nasce infatti nel 1636 – come attesta un documento, conservato presso l’Archivio di Stato di Cagliari, datato 1696 – grazie all’opera dei cosiddetti “Signori della Neve”, attivi già dal secolo precedente.
La neve veniva raccolta e conservata in montagna, in apposite buche scavate nel terreno chiamate neviere, e poi trasportata nelle città, come Cagliari, dove il ghiaccio veniva utilizzato per conservare alimenti e bevande o per scopi terapeutici.
Il ghiaccio, tagliato in grossi blocchi, veniva isolato con paglia e foglie e sistemato dentro bisacce di orbace. Il trasporto era affidato ai cavallanti, e ogni carico pesava circa 126 chili. Durante il viaggio verso il sud dell’Isola, però, il 40% del ghiaccio si scioglieva, e al porto di Cagliari ne arrivavano poco più di 50 chili, pronti per essere venduti o scambiati.
Una parte del ghiaccio veniva acquistato dai carapigneris, i sorbettieri aritzesi, che nel periodo estivo percorrevano la Sardegna per partecipare alle feste popolari, vendendo “Sa Carapigna”, un sorbetto tradizionale preparato con acqua, zucchero e limone, raffreddato proprio con ghiaccio di neve. Una specializzazione produttiva etnica, legata in modo esclusivo alla comunità di Aritzo, già dal 1600.

Questa sala è dedicata al mondo femminile e alla cultura della lana, rappresentata lungo tutta la sua filiera: dalla tosatura alla cardatura, dalla lana sporca a quella lavata, fino alla filatura, alla tinteggiatura con essenze vegetali e alla tessitura.
Sono esposti tutti gli utensili tradizionali, dai più semplici e rudimentali – come fusi, conocchie e pettini per cardare la lana – fino ai diversi tipi di arcolai e alle più complesse macchine cardatrici e tessili.
Ben rappresentata è anche la produzione dei manufatti in lana: dalle lenzuola e pezze d’orbace, realizzate con vari gradi di pregio e raffinatezza per confezionare abiti, fino alle coperte, tappeti e arazzi.
Ma i veri capolavori del sapere femminile sono gli abiti tradizionali da donna, presenti in tutte le loro numerose varianti: abiti da tutti i giorni, da sposa, da lutto… Ricchi di colori vivaci e forme particolari, questi vestiti raccontano non solo la creatività artigiana, ma anche l’identità profonda delle donne di Aritzo.

In questa sala è raccontato un altro aspetto del sapere femminile: la lavorazione artigianale della cera.
Viene presentata l’intera filiera produttiva, che parte dall’estrazione dei favi dai bugni di sughero, passando per la separazione della cera dal miele, la fusione, la preparazione delle candele e la loro decorazione.
Sono esposti tutti gli strumenti tradizionali: torchi in legno, caldaie di rame, mestoli forati per eliminare le impurità dalla cera bollente, contenitori di rame stagnato per la colatura e infine il tavolo di lavoro, con coltelli e punteruoli utilizzati per la decorazione delle candele.
A completare l’esposizione, una carrozza del XIX secolo, una delle poche presenti ad Aritzo in quel periodo.
Alcune fotografie documentano la processione in onore di Sant’Isidoro, protettore dei contadini.

Questa sala è dedicata allo spazio domestico per eccellenza: la cucina della casa tradizionale della montagna sarda.
Un ambiente che non era solo destinato a cucinare, conservare e consumare il cibo, ma anche a dormire e riposare. Al centro troviamo il focolare, cuore della casa, attorno al quale venivano stese stuoie in erba palustre usate come giacigli. In alto, un graticcio sospeso serviva per essiccare le castagne.
La sala espone l’intero ciclo della panificazione e della trasformazione delle castagne con esposizione di un gran numero di oggetti: crivelli e macine in pietra per il grano, setacci per la farina, madie per impastare, tavoli e macchine per la gramolatura della pasta.
Sono presenti anche ceste di varie forme e materiali – come asfodelo, fieno e palma nana – e, per il forno, i tipici forconi e pale in legno e ferro.
Segue un’esposizione dedicata alla lavorazione delle castagne, con strumenti per essiccazione, sbucciatura e preparazione di piatti locali.
C’è anche una sezione dedicata al lavaggio della biancheria con la liscivia e una collezione di casse intagliate, usate per conservare alimenti e tessuti.
Chiude il percorso uno spazio dedicato all’infanzia, con culle tradizionali, seggioloni, girelli, e una raccolta di giocattoli che riproducono in miniatura gli strumenti agricoli, a simboleggiare l’apprendimento del lavoro sin da piccoli.

Le casse intagliate esposte in questa sala sono tutte di produzione locale e appartengono, per modulo stilistico e formale, al modello sub-regionale noto come cassa di Aritzo o Barbaricina.
È scientificamente attestato che in Sardegna, relativamente alla produzione delle casse e cassoni nuziali in legno di castagno, esistano due tipologie distinte: una riconducibile al modello di Aritzo o della Barbagia, e l’altra al modello Lussurgese, tipico del Montiferru.
L’importanza della prima è attestata fin dall’Ottocento, nei resoconti di viaggiatori, etnografi e studiosi di cultura sarda come Angius, La Marmora, Wagner, fino ad Albizzati. Tutti assegnano ad Aritzo il ruolo di centro di irradiazione di questo manufatto ligneo.
La cassa nuziale della montagna sarda, nota nel suo areale di diffusione – che va dai Campidani all’Ogliastra – come “cascia de Aritzu”, è una produzione che si mantiene viva da secoli.
Così la descriveva La Marmora:
“L’altro commercio degli aritzesi (essendo quello principale il commercio delle nevi) consiste nelle casse di castagno scolpite con fantasie di uccelli e animali fantastici, che portano per vendere nei lontani villaggi a schiena di cavallo”.
La produzione e il commercio della cassa nuziale hanno rappresentato, al pari della neve, una voce rilevante nella vita della comunità aritzese.
Questi manufatti avevano un valore culturale e simbolico elevato: erano considerati beni di lusso, immessi nel commercio solo attraverso il pagamento in moneta.
La cassa, realizzata in legno di castagno, era molto richiesta in tutta la Sardegna centro-meridionale, e utilizzata per conservare biancheria, abiti, gioielli, pane e granaglie, in un’epoca in cui l’arredo domestico era raro e prezioso.
Spesso veniva tinteggiata con sangue ovino o caprino, oppure con ocra rossa. Col tempo, il colore brillante si scuriva, sia per effetto del fumo del focolare, sia per l’ossidazione del tannino presente nel legno.

Questa sala è dedicata a tutto ciò che riguarda “Su padente”, il bosco e la foresta, alle sue risorse e alla loro trasformazione.
Non si parla solo della raccolta di castagne e nocciole, ma anche del prelievo della legna da ardere e del legname, della carpenteria, dell’arte dell’intaglio delle casse e cassoni nuziali, dell’estrazione della radica per pipe, della produzione di carbone, e delle botteghe del bottaio e del mastro carraio.
Il repertorio degli utensili qui esposti comprende diversi tipi di accette, asce e seghe: strumenti di varie dimensioni, forme e funzioni – come le scuri per abbattere gli alberi, quelli per la squadratura dei tronchi, le seghe per tagliare le tavole. Ci sono anche mazze di legno con cunei di ferro per spaccare la legna.
Segue la rappresentazione delle botteghe artigiane, con la dimostrazione dell’arte del bottaio, del mastro carraio e dell’intagliatore, accompagnata da una ricca esposizione di utensili e attrezzi.

In questa sala è rappresentata la costruzione storica dello spazio agrario, a partire dalla sua ripartizione e uso, cioè la rotazione agraria biennale o quadriennale, basata sulla suddivisione dell’aratorio del villaggio fra bidatzone e poborile: terre seminate a cereali e maggese nudo.
L’attività contadina, che ad Aritzo non era pratica dominante (ancora nel 1935, su quasi settemila ettari di terreno, appena 126 erano coltivati a cereali), è raccontata con il suo complesso di utensili e macchine: dalle zappe più comuni agli aratri in legno, carri a buoi, gioghi, falci, macchine solfatrici e imballatrici, pale e tridenti per la spulatura del grano, accette, roncole, innestatoi, contenitori per l’acqua usati nel lavoro nei campi come borracce di sughero, zucca e otri di pelle di capra.
Precede quale attività introduttiva, l’officina del fabbro maniscalco, che presenta un vasto repertorio di strumenti utilizzati per la forgiatura di tutti gli attrezzi del mondo contadino, oltre che per la ferratura del bestiame domito impiegato nel lavoro dei campi.