Dettaglio luogo

Casa Devilla

Casa Devilla è un complesso architettonico che conserva intatto il nucleo originario di impianto spagnolo, nonostante sia il risultato di varie fasi costruttive. Fu dimora della famiglia Devilla, esponenti della borghesia agraria e professionale, appaltatori dal 1800 de “l’industria della neve” (I Signori della neve), cioè dell’incetta e dell’esportazione del ghiaccio prodotto dalla neve, fino all’estinzione di questa attività.

L’attività di conservazione e vendita del ghiaccio di neve fu una delle colonne portanti dell’economia del paese. La neve veniva raccolta e conservata in appositi pozzi per rivenderla poi nelle città, dove veniva utilizzata per conservare cibi e refrigerare bevande. Il commercio del ghiaccio era monopolistico e gli appaltatori erano obbligati a fornire gratuitamente il Palazzo Regio di Cagliari, come stabilito nei capitolati d’appalto.

La raccolta della neve era affidata ai “Niargios”, le maestranze che raccoglievano la neve e la stivavano nelle neviere, buche scavate nel terreno, rivestite di muratura, profonde fino a 3 metri e con diametro variabile dai 7 ai 14 metri. La neve, pestata e coperta di felci e arbusti, si conservava a lungo e durante l’estate veniva tagliata in blocchi, coibentata con paglia e trasportata con cavalli e carri in tutta la Sardegna.

La casa si sviluppa su tre livelli ed è introdotta da un imponente ingresso in muratura costruito nel 1889. Da qui si accede al cortile trapezoidale, che accentua l’effetto scenico grazie alla particolare percezione prospettica dello spazio ed impreziosito dalla ricchezza dell’intera casa, volta ad evidenziare il ruolo sociale dei Devilla nella comunità di Aritzo.

Il corpo più antico, a sinistra dell’ingresso, risale al XVII secolo e riflette i canoni delle case di montagna del Gennargentu, sia nei materiali (pietra di scisto e legno di castagno) sia nella forma (balconata in legno in seguito trasformata in corridoio chiuso). La presenza di cassettoni veneziani nelle volte, anche nei magazzini per la conservazione delle derrate alimentari, testimonia l’origine nobile della famiglia.

Nel 1853, nel cortile della casa, morì il poeta vernacolare Bachisio Sulis, vittima di un attentato.

Contatti

Via Is Alinos, 3, 08031 Aritzo NU, Italia

Cartina geografica

Guida alla visita

Aritzo, Casa Devilla. Magazzino per le castagne
Aritzo, Casa Devilla. Magazzino per le castagne - Foto Consulmedia

Al piano terra di Casa Devilla si trovano i magazzini, chiamati “is funnagoso”, la zona più fresca della casa, usata in passato per la trasformazione e la conservazione dei prodotti agricoli.

Un’area di particolare interesse è “sa fossa ‘e sa castagna”, il luogo dove si conservavano le castagne fresche. Venivano adagiate su un letto di frasche di corbezzolo, per evitare il contatto diretto con il terreno e preservarne la qualità.

Le castagne, conosciute come il “pane dei poveri”, sono un frutto antico, da sempre fondamentale per l’alimentazione e il commercio degli aritzesi. Ancora oggi esiste la figura del “biaxante”, il commerciante itinerante che viaggia di paese in paese in tutta la Sardegna per vendere prodotti locali come castagne, nocciole, noci e, un tempo, manufatti in legno come le casse intagliate. Le castagne, molto apprezzate e ricercate in tutta l’isola, hanno fatto di Aritzo il “paese delle castagne”.

In questo spazio, su assi sospese, veniva stagionato il formaggio. Nei mesi più caldi, il formaggio veniva spostato nella “muschera”, una rete protettiva che lo difendeva dai moscerini e ne evitava la marcitura.

Appesa al muro si trova la “stadera”, la bilancia usata per pesare il ghiaccio prima della vendita. Sono presenti anche altri oggetti legati al trasporto del latte e un contenitore in sughero usato per la mungitura (“mussolgia”)

Aritzo, Casa Devilla. Veduta della cantina
Aritzo, Casa Devilla. Veduta della cantina - Foto Consulmedia

In questo ambiente sono esposti gli strumenti usati per la vinificazione. Ad Aritzo, molti erano gli artigiani bottai, costruivano tini e botti in legno di castagno, ideale per la vinificazione grazie all’elevato contenuto di tannino. Prima delle vendemmie, i bottai si spostavano nei paesi vicini per riparare le botti vendute negli anni precedenti o semplicemente per offrire la loro esperienza e manodopera.

Aritzo, Casa Devilla. Sala dedicata al castagno e la raccolta del frutto
Aritzo, Casa Devilla. Sala dedicata al castagno e la raccolta del frutto - Foto Consulmedia

Qui si racconta l’attività di raccolta delle castagne e l’uso del legno di castagno. Sul territorio due sono le aree dedicate a questa coltura: una è il bosco intorno al paese, formato soprattutto da boschi cedui, chiamati “cugnaos” (chiusi); l’altra è rappresentata dai castagneti di montagna, detti “is orroas”, originariamente aperti e utilizzati sia per il legno che per i frutti. Tra le due, la prima area è la più estesa.

Gli alberi venivano abbattuti in inverno, squadrati con l’ascia, segati in grandi lastre e lasciati stagionare all’aperto per anni. Il legno così preparato serviva nelle botteghe artigiane per costruire casse intagliate, botti e altri manufatti.

La zona con le fustaie più antiche e grandi, con castagni che possono superare i novecento anni, è Geratzia.

La raccolta delle castagne segue un calendario flessibile, che alterna giorni di lavoro e di riposo, tenendo conto del meteo e delle fasi di maturazione, che variano di anno in anno.

Per facilitare la caduta dei frutti si usava una tecnica chiamata “maxiare”, cioè battere i castagni con una pertica: un lavoro duro, fatto soprattutto dagli uomini ma talvolta anche dalle donne.

Dopo una prima raccolta delle castagne cadute, si faceva una pausa, in attesa di una nuova caduta dei frutti, ripetendo il ciclo più volte se necessario. La raccolta si faceva rapidamente, specialmente se la stagione era in ritardo, per finire entro ottobre.

In passato, se il raccolto avveniva in castagneti distanti dal paese, si restava sul posto a sorvegliare le castagne, conservandole in fosse all’aperto per proteggerle dagli animali.

Aritzo Casa Devilla. Camera dèco Antonio Mura
Aritzo Casa Devilla. Camera dèco Antonio Mura - Foto ConsulMedia

Agli inizi del Novecento, la camera da letto diventa uno spazio privato, non più condiviso con il resto della famiglia. In questo periodo si realizzano arredi eclettici, che fondono vari stili. Un esempio straordinario è la camera progettata da Antonio Mura, pittore e artista di Aritzo, e realizzata in legno di castagno da artigiani locali.

La camera fu commissionata dallo stesso pittore come dono di nozze per il fratello nel 1926. Si tratta di un esempio raffinato di déco sardo: mobili intagliati con motivi ispirati alla tradizione, ma interpretati in chiave moderna.

Quanto di lugubre poteva disturbare in questo tipo di mobilio, per l’uso corrente di una vernice nera, viene negato sia dall’uso di un bruno caldo ottenuto dal sangue caprino, sia soprattutto dagli inserti a colori vivaci.

Le testiere del letto sono magnifiche: i montanti sono scolpiti con motivi a foglie gigliate, che richiamano le guglie delle cattedrali gotiche, i retabli tardo gotici sardi e, con un tocco di modernismo, anche le forme della Sagrada Familia di Gaudí.

Incantevole la culla, sormontata da quattro uccellini rossi scolpiti, posati delicatamente sulle sommità dei pilastrini: un’idea tenera e poetica, che dona grazia e leggerezza all’intero ambiente.

Aritzo, Casa Devilla. Camera da letto ottocentesca
Aritzo, Casa Devilla. Camera da letto ottocentesca - Foto ConsulMedia

Il salottino è riscaldato da un piccolo camino. Il canapé in legno, con seduta impagliata, risale ai primi del Novecento. Le sedie sono realizzate in paglia di Vienna. In un angolo, una delle prime macchine da cucire della Singer testimonia l’ingegno e la laboriosità del tempo.

Dal salottino si accede a una seconda camera da letto, arredata con mobili della prima metà del Novecento. Il letto alla francese, più piccolo del classico matrimoniale, presenta testiera e pediera in ferro, ornate da intarsi in madreperla. Le federe ricamate portano le iniziali della famiglia Devilla.

Sul letto è poggiato “il prete”, uno scaldino che veniva riempito con le braci del camino o del focolare. Per sicurezza, lo si inseriva nella cosiddetta “monaca”, una struttura in legno formata da due assi ricurve che ricordano la forma di una barca: serviva a sollevare le lenzuola e a evitare che si bruciassero.

Elegante e raffinata, la toilette in legno con piano in marmo e specchio è molto diversa dai semplici portacatini in ferro, un tempo comuni in tutte le case. Accanto, una sedia inginocchiatoio, usata dalle signore sia in casa che in chiesa, porta incise le iniziali della proprietaria.

Appeso all’attaccapanni, un piccolo bustino bianco: si tratta di un reggiseno d’epoca. Diverso da quelli attuali, non copriva i seni ma li sosteneva, proprio come il corpetto dell’abito tradizionale, “su cosso”.

Nella cucina sono esposti diversi arredi e oggetti antichi e di modernariato. La grande cassa, priva di intagli, veniva usata per la conservazione del grano. Panieri e cestini, di varie forme e funzioni, sono intrecciati con materiali naturali come l’asfodelo, la paglia e il giunco.

Sopra il tavolo si trova la madia in legno, utilizzata per impastare la farina con l’acqua e gli altri ingredienti del pane o della pasta. Il tavolo stesso, comunemente detto “sa mesa de su pane”, era impiegato in tutti i lavori legati alla panificazione e alla preparazione dei dolci.

Di fianco al tavolo, un torchio bigolaro, utensile in ottone fuso, serviva per la produzione della pasta fresca. La credenza dipinta di bianco, chiamata familiarmente “il mobiletto”, era presente nella maggior parte delle cucine italiane.

Accanto alla finestra si trova il tavolo per la lavorazione del pane, completo di gramola, usata per omogeneizzare l’impasto. Nell’espositore si possono osservare posate in legno intagliato. Sul camino, infine, trovano posto le caffettiere in ferro smaltato tipiche del Novecento, insieme a brocche in terracotta.

Nella casa l’antico bagno alla turca era collegato esternamente alla fossa settica. Avere un bagno all’interno della casa era un vero e proprio lusso, riservato a pochi. Fino agli anni ’50, infatti, i bagni erano spesso costruzioni separate dall’abitazione, e nelle case di montagna si trovavano talvolta sulle balconate in legno esterne.

Sul muro a sinistra del bagno, si può osservare un esempio dell’antica tecnica costruttiva: l’armatura dei muri realizzata con rami di legno di castagno e ricoperti da malta di calce.

Nel disimpegno, la scala in legno porta al sottotetto, un ambiente un tempo riservato alle stanze della servitù e al deposito di derrate alimentari, come noci e nocciole, da conservare durante l’inverno.

Aritzo, Casa Devilla. Sala da pranzo
Aritzo, Casa Devilla. Sala da pranzo - Foto ConsulMedia

Le casse intagliate in legno di castagno, conosciute in sardo come cascias o alceddas, sono tra gli arredi più rappresentativi della tradizione artigianale di Aritzo. L’intaglio del legno è una tecnica antica, documentata da studiosi ed etnografi fin dall’Ottocento.

Si tratta di casse nuziali, nelle quali venivano custoditi il corredo della sposa, la dote, la biancheria, abiti, gioielli o granaglie. La produzione e il commercio di queste casse, insieme a quello della neve, erano elementi importanti per l’economia locale. Considerate beni di lusso, venivano vendute esclusivamente dietro pagamento in denaro.

Le casse erano realizzate interamente in legno di castagno, colorato con sangue ovino o caprino, oppure con ocra rossa. Con il tempo, il colore acceso tendeva a scurirsi, per effetto del fumo dei focolari e dell’ossidazione naturale del tannino presente nel legno.

Sulla parte frontale, detta “sa mosta”, si trovano motivi ricorrenti dell’artigianato sardo. Il rosone centrale, simbolo antico usato anche dagli Ottomani, rappresenta nel cristianesimo le gocce del sangue di Cristo. La pavoncella, introdotta dai Bizantini nel VI secolo, è un portafortuna, simbolo di fertilità e, nel cristianesimo, anche di immortalità dell’anima. Altri simboli ricorrenti sono le spighe di grano, augurio di prosperità.

Le casse si aprivano solo dall’alto e poggiavano su piedi intagliati che raffigurano tartarughe o leoni. La sala da pranzo, interamente realizzata in legno di castagno, risale agli anni ’30. Le basi delle credenze, sono casse antiche modificate, con apertura frontale, più elegante e in voga nelle case signorili. Arredano le pareti della sala dei tappeti in arte sarda tessuti al telaio.

Aritzo, Casa Devilla. Lo studio
Aritzo, Casa Devilla. Lo studio - Foto ConsulMedia

Questo ambiente è arredato con due eleganti librerie in stile liberty di fine Ottocento. Al loro interno si conservano diversi libri di medicina, a testimonianza del fatto che alcuni membri della famiglia Devilla si dedicarono alla farmaceutica, e testi più antichi, dedicati alla storia della Chiesa cattolica, scritti in latino e in francese.

La stanza non dispone di camino, e per riscaldarsi si utilizzava un braciere in rame, chiamato in sardo sa cupa, poggiato su un sostegno in legno.

Alla parete è appesa una carta della Sardegna, copia di quella realizzata dal geografo Alberto La Marmora, uno dei primi studiosi della storia naturale e dell’archeologia dell’isola.

Nella fotografia è ritratto Giuseppe Luigi Devilla, sindaco di Aritzo tra il 1887 e il 1889, e autore del libro La Barbagia e i Barbaricini, pubblicato nel 1889, in cui descrive la Barbagia di Belvì alla fine dell’Ottocento.

Aritzo, Casa Devilla. Sala lettura
Aritzo, Casa Devilla. Sala lettura - Foto ConsulMedia

In questa sala si trovano due casse intagliate risalenti alla fine del Seicento.

Anche qui, come in quasi tutte le stanze della casa, è presente un piccolo camino, un tempo unica fonte di riscaldamento.

Alla parete è appeso un grande manufatto tessile chiamato fressada o burra, tessuto al telaio con trama in lana tinta con essenze vegetali. Si tratta di una lavorazione tipica dei paesi vicini, come Tonara e Gadoni.

Il piccolo arazzo giallo e marrone proviene dalla tradizione tessile del paese di Isili.

Infine, la radio in esposizione è un modello del 1930.

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